sabato 2 marzo 2013

Gloria e baldoria, solitudine e polvere

di Rosa Salamone

In "gloria e baldoria" ha inizio l'incontro dell'isola degli asini alla biblioteca comunale di Agira, ossia mangiando chiacchiere, bevendo vino e parlando, intorno ad un tavolo, del libro di Gabriel Garcia Marquez, Cent'anni di solitudine, un'"opera mondo", come la definisce Franco Moretti, saggista italiano, fratello del più noto Nanni Moretti, perché "summa di tutti i saperi, gli stili, le eredità del passato", a metà tra "la narrazione filosofica, il saggio, l'enciclopedia, a volte la tragedia, a volte la lirica".












Leggere quest'opera monumentale che racconta della dinastia dei Buendia nell'arco di sei generazioni ossessionata dal procreare un figlio con la coda di maiale, è stata per me un'esperienza fisica, carnale prima ancora che della mente, ho sfogliato quattrocento pagine appollaiata su una sedia, aggrovigliata in un letto, rannicchiata in un vagone del treno e ho letto e sentito con ogni parte del mio corpo in una simbiosi totale con il libro al punto che, usando un'iperbole, era  lui a sfogliare me.

Come davanti ad un giocattolo nuovo di cui poi ti stanchi finché non ti prende la tentazione di smontarlo e, nel riassemblare i pezzi, non sarà più lo stesso giocattolo di prima, così, nel tirare le somme su quel che è ho letto, ho smontato e riassemblato il libro, ottenendone infine un altro. 

Il libro si snoda lungo due piani narrativi mai nettamente separati: il piano  della realtà e quello della fantasia. 

Il piano della realtà è quello dei paesi latino-americani, in cui è ambientata la storia e in cui si sono succedute dominazioni, guerre civili tra conservatori e liberali che ricalcano la guerra civile "dei mille giorni" realmente avvenuta in Colombia, lo sfruttamento economico ad opera delle multinazionali statunitensi. La compagnia bananiera, di cui si parla nel libro, infatti, è la trasfigurazione, ma non troppo, della United Fruit Company, così come la "lista di rivendicazioni" presentate dagli operai alla compagnia riprendono le richieste presentate dai lavoratori alla United Fruit, che provocò lo sciopero dei lavoratori. Un argomento questo caro anche ad un altro autore latino-americano, il poeta cileno Pablo Neruda che nella poesia United Fruit Company denunciò la nuova schiavitù operata dalle multinazionali statunitensi. 

Accanto a questo piano reale, c'è quello irreale, c'è una continua irruzione dell'inspiegabile, dell'illogico, del magico, non a caso si parla di "realismo magico".
Ho scritto accanto, usando un termine improprio perché, come ho già detto, i due piani si mescolano continuamente e volutamente, a questo proposito scrive Gabriel Garcia Marquez: "Il problema più importante per me era distruggere la linea di demarcazione che separa ciò che sembra reale da ciò che sembra fantastico". 
Intento non solo raggiunto, ma anche convincente. 
Riporto qui, a titolo d'esempio, alcuni dei prodigi che si dipanano per tutto il libro come immagini concrete e credibili:

  • la pioggia di fiori gialli alla morte di Josè Arcadio Buendia, il capostipite della famiglia Buendia;
  • il percorso del filo di sangue che dall'orecchio destro di Josè Arcadio Buendia, il primogenito della famiglia Buendia, va fino alla cucina della madre, Ursula Iguaran;
  • la croce di cenere indelebile sulla fronte dei diciassette figli del colonnello Aureliano Buendia;
  • l'ascensione in cielo di Remedios la bella, la bisnipote di Ursula, di una bellezza ingenua e  crudele;
  • l'alone di farfalle gialle che annuncia l'arrivo di Mauricio Babilonia, l'innamorato di Meme Buendia;
  • il diluvio su Macondo, durato 4 anni, 11 mesi e 2 giorni.
È tra questi due piani che si muovono le sei generazioni della famiglia Buendia, ognuno col suo destino di solitudine:

  • la solitudine del patriarca Josè Arcadio Buendia che finisce i suoi giorni legato ad un albero di castagno a ripetere incomprensibili frasi in latino;
  • la solitudine di Ursula, la matriarca, che, dopo la sua pluricentenaria esistenza, diventa il giocattolo di Amaranta Ursula e Aureliano, che lei, ormai cieca e vecchia, confonde con il colonnello Aureliano;
  • la solitudine del colonnello Aureliano, una delle figure più affascinanti e complesse del romanzo, che dopo aver promosso 32 sollevazioni, esser scampato a 14 attentati, 73 imboscate e 1 plotone d'esecuzione, dopo aver avuto 17 figli da diciassette donne diverse, termina i suoi giorni rinchiuso nel laboratorio a fare e disfare pesciolini d'oro;
  • la solitudine di Amaranta e del suo odio ostinato per la sorellastra Rebeca;
  • la solitudine di Rebeca, vedova di Josè Arcadio Buendia, accusata dell'assassinio del marito e abbandonata in una casa decrepita;
  • la solitudine del villaggio Macondo, "a cui s'arriva attraverso nebbiose gole, tempi riservati all'oblio, labirinti di delusione" che è quindi non solo un villaggio sperduto nella sierra ma una condizione mentale e un destino.
Questo destino di solitudine accomuna tutti i Buendia come una sconfitta, un'incapacità di riscatto e di amore, un'incapacità di conciliare tradizione e progresso, un destino che porterà la dinastia Buendia a non lasciar traccia di sé  e ad esser spazzata dal vento come polvere.

La conclusione così come l'inizio di questo mio dire è un furto alla signora Grazia, la bibliotecaria che per tutta la durata dell''incontro ha ascoltato incuriosita e alla fine è intervenuta dicendo: "I cent'anni della famiglia Buendia equivalgono ai 1000 anni delle famiglie siciliane che ora sono diventate polvere".
Niente di più vero.

Tanti altri temi ho tralasciato: l'importanza della memoria, il tempo circolare, il tema del potere e della modernità, l'urgenza del sesso, spero li approfondiate voi, con i vostri commenti, rimontando un altro libro-giocattolo. 


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