venerdì 13 luglio 2012

James Sveck, un adolescente in rivolta

di Rosa Salamone

«Che cos'è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no». Così inizia L'uomo in rivolta, il saggio dello scrittore e filosofo francese Albet Camus.
James Sveck, il protagonista del libro Un giorno questo dolore ti sarà utile di Peter Cameron, è un uomo, o meglio, un adolescente in rivolta: tanti i suoi no.
Dice no ad un percorso di vita predestinato, come il passaggio obbligato all'università perché, come lui stesso dice al padre: «Penso di poter imparare tutto quello che voglio leggendo Shakespeare e Trollope».
Dice no al gruppo dei coetanei che trova noiosi.
Dice no all'incasellamento in categorie, soprattutto di genere. Al padre che gli chiede: «Sei gay?», risponde sprezzante ed ironico: «Perchè me lo chiedi? È prevista una nuova detrazione sulle tasse?».
Dice no all'uso scorretto delle parole, a cominciare dall'attenzione quasi maniacale che lui ha nei confronti dei nomi propri di persona e di luogo, come se questi nomi potessero essere epifanici, rivelatori di qualcos'altro.

A chi gli chiede il suo nome, ne dà uno falso, Bryce Canyon, il nome di un parco nazionale nello Utah, a sud-ovest degli Stati Uniti, dove James sogna di andare a vivere un giorno; dell'assistente scolastica dice che ha un "increscioso nome", Mrs Fregner; della psichiatra dice che il suo nome, Rowena, ricorda quello di un personaggio di un'opera di Wagner e si stupisce che i suoi genitori lo mandino in cura da una che possiede quel nome; del nome della località Limit, dove vorrebbe comprar casa, chiede spiegazione all'agente immobiliare e solo per la sua ingenua insistenza verrà a sapere che si chiama così perché si trova al confine con una discarica o "deposito temporaneo", secondo l'eufemismo usato dall'agente; anche la sorella di James, Gillian, vuole che il suo nome venga pronunciato con la g dura perché «dare un nome ad un bambino e pronunciarlo in modo scorretto è una subdola forma di maltrattamento»; infine l'artista giapponese che espone nella galleria d'arte, in cui lavora James e di cui è proprietaria la mamma, ha deciso di non avere un nome perché «un nome influenza la percezione della sua opera».

Tutti questi esempi ci dicono quanto i nomi siano importanti per James. Dicevano gli antichi romani, nomen omen, nel nome c'è un destino, un presagio, e se questo è vero per James, quel nome che lui porta, James appunto, non è un caso ma un destino, e non può non associarsi a James Dean, icona dell'adolescente ribelle, problematico, disadattato, in un film emblematico, Gioventù Bruciata di Nicholas Ray. Non sembri forzata quest'associazione d'idee: «Bisogna essere inventori per leggere bene», diceva il filosofo e poeta statunitense Ralph Waldo Emerson.

In James, si diceva, c'è un'attenzione non solo ai nomi ma anche alle parole. Memorabili i colloqui tra lui e la psichiatra e il continuo battibecco sull'uso delle parole: «Le persone dovrebbero parlare in modo chiaro e corretto. Preciso». Non solo le parole sono importanti, ma anche chi le pronuncia. Due esempi. Nel primo, le parole, benchè vere, restano sterili, non generano cambiamento perchè a pronunciarle è un CD di self help della mamma di James in un flusso meccanico e autistico che non nasce né da un dialogo né da un esperire. Riporto il flusso delle frasi vere e sterili allo stesso tempo:

«Il passato non determina il futuro.
Puoi fare più di quello che pensi.
L'amore non è mai uno spreco.
Non smettere mai di imparare.
Cerca la bellezza.
Il sonno e i sogni ti purificano.
Rispetta la sofferenza degli altri, ma non darle il potere di distruggerti.
Abbi fede nella natura.
Nessuno sa fare tutte le cose che sai fare tu.
Rispetta la forza e la bellezza del tuo corpo.
Trasforma la sconfitta in una sfida.
Credi in ciò che ami.
Fare del bene ti rende più forte.
Apriti all'amore degli altri.
Ricrea ogni giorno la tua vita.
Tutto è in continuo cambiamento. Non c'è nulla di duraturo».

Nel secondo esempio, le parole sono portatrici di verità e mutamento, sono le parole tra James e la nonna, Nanette, che sa porre al nipote le domande giuste riuscendo laddove la psichiatra fallisce, perchè il loro rapporto è basato non sul giudizio ma sull'ascolto. L'ascolto che non è il semplice udire ma il sintonizzarsi sullo stato emotivo ed espressivo dell'altro. 

Chi ascolta è maieuta, aiuta l'altro a partorire la verità che ha in sé. 

Mi viene in mente un maieuta siciliano, Danilo Dolci e un suo verso che è anche il titolo di una sua poesia: «Ciascuno cresce solo se sognato».
James è sognato. Dalla nonna e da noi lettori erranti.

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